Oggi non ho voglia di scrivere

Oggi non ho voglia di scrivere. È aprile; e se aprile per altri è dolce dormire, per me è sostanzialmente la voglia di non fare un cazzo.

Che poi, non è vero che non ho voglia di scrivere, né è esattamente vero che non ho voglia di fare un cazzo. Sono una enorme macchina, in questo momento; e così come è difficile fermarmi, allo stesso modo, per il principio d’inerzia, è difficile rimettermi in moto. Non ho voglia di scrivere per lavoro – come per esempio qui. Il romanzo, ho aggiunto stamattina circa milleduecento parole, sono quattro pagine; tra un po’ andrò in palestra, spero a sera di aver chiuso le duemila parole.

Càpitano, i giorni in cui non si ha voglia di scrivere. Ma son giorni in cui bisogna scrivere. L’altro giorno parlavo del monk mode; ogni tanto bisogna far prevalere il Lamborghini mode, intendendo: il trattorino; ossia: muoversi con lentezza e ostinazione.

Stamattina leggevo queste parole di Henry Miller.

E questo allora? Questo non è un libro. È libello, calunnia, diffamazione. Ma non è un libro, nel senso usuale della parola. No, questo è un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all’Arte, un calcio alla Divinità, all’Uomo, al Destino, al Tempo, all’Amore, alla Bellezza... a quel che vi pare. Canterò per voi, forse stonando un po’, ma canterò. Canterò mentre crepate, danzerò sulla vostra sporca carogna.

Quando incontri una scrittura migliore della tua, la cosa più spontanea da farsi è chiedersi: perché è migliore? Per fortuna la scrittura è un programma open source. Ha tutti i codici aperti, i fili scoperti. Che poi l’open source permetta comunque l’arte, è evidente. E allora, leggo questo e Stephen King e vado a modificare la mia, di scrittura; la copro di colore.

Anche perché credo che a volte sia necessario chiedersi: che colore hanno le mie parole?

Tropico del Cancro è giallo, Carrie rosso cupo – e non c’entra niente la scena di apertura, quella della doccia.

Le mie parole erano grigine, e mi sono chiesto come ravvivarle. Ho inserito una scena di violenza famigliare – non di cattiveria, anzi; ma a volte la violenza esiste e non c’entra niente con la cattiveria, forse l’opposto, forse a volte è la bontà a essere violenta; una scena che ho sognato l’altra notte. In fin dei conti, con il saggio in uscita, mi piace avere a che fare con la scrittura del romanzo. Sono due modalità diverse. Una chiede la precisione del concetto, di indagare sulle fonti; l’altra, di stare.

(Poi mi stupisce che ascolti così tanto Carriage dei Counting Crows, in stesura, io che i Counting Crows non li reggo; ma forse per me hanno imbroccato quella canzone lì, quella lì precisa è per questo libro, serve a questo; poi avrà compiuto il suo dovere sulla Terra, e volerà).

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