La danza dei panini

Chaplin replica la danza dei panini di La febbre dell'oro (1925)
Stamattina pensavo alla mutilazione dello scrittore.
Ne Il soccombente, Bernhard a pagina 40 dice:

"Se guardiamo con attenzione gli esseri umani, ci disse Glenn una volta, non vediamo altro che mutilati, mutilati esteriormente o interiormente, o anche esteriormente o interiormente, sono tutti così, pensai. Quanto più a lungo guardiamo con attenzione un essere umano, tanto più egli ci appare mutilato, dal momento che all'inizio ci rifiutiamo di percepire l'entità vera della sua mutilazione".

Quando io insegno a scrivere, la cosa che cerco di far vedere alla persona è la sua mutilazione, e l’entità della sua mutilazione.
È come se dicessi: Amputàti, visto che lo siamo tutti, deponete le vostre protesi all’ingresso, non fate finta di non aver combattuto una guerra, siamo nel 1919, la guerra è trascorsa per tutti, il rumore delle bombe lo ricordiamo anche quando non ci ha devastato casa; e poi tornate di qua.
E c’è qualcuno che dice: No, io non ho niente, e cammina strisciando il piede destro verso la prima sedia disponibile; qualcuno che sfila un braccio di plastica o una gamba; qualcuno che dice: Chi mi aiuta con la sedia a rotelle?; qualcuno che appoggia lì l’occhio destro, dice Arrivo, pensa se mettere la benda all’occhio o meno, di solito non lo fa.
Il lavoro che si fa a quel punto non consiste nel far lavorare meglio l’arto che funziona, o nell’equilibrare; ma nel capire cosa fa intanto l’arto fantasma.
Mi spiego.
Se una persona arriva e ha la sola gamba destra, per una semplice meccanica camminerà verso sinistra.
E allora io dico: Perfetto, ora fermi tutti; guardate dove va l’arto che avete deposto in anticamera.
E quando torniamo tutti insieme in anticamera, qualcuno prendendo con sé il tabacco per fumare, vediamo con incredulità muoversi nell’aria un occhio che guarda cose che l’altro occhio non vedeva, mani singole che applaudono il vento, schiene contorte che celano singoli seni, e poi quella gamba restante, la sinistra, che per una semplice meccanica cammina verso destra.
Giorni fa mi è capitato di vedere per caso la bellezza totale di una persona, come quando una persona si spoglia e inavvertitamente lascia aperta la porta della camera, e ne vediamo la spina dorsale nuda, i piccoli gesti del quotidiano – rassettarsi i capelli, scalciare una calza, bere un sorso di caffè lasciato in una tazza sul comodino; canticchiare una canzone che si ha in testa.
E ho pensato che di fronte alla bellezza totale di una persona siamo come di fronte all’esibizione dell’arto fantasma della persona. Abbiamo una scelta, limitata dalla nostra capacità, dal fatto che siamo degni, dalla nostra intelligenza, dalla portata emotiva.
Una scelta è: contrapporre alla bellezza totale la mediocrità. A un’amica artista qualcuno, evidentemente messo male, ha lasciato tempo fa sul parabrezza profilattici usati. Non ne capisco grazie al cielo lo scopo; ma questa persona che ha svilito sta dicendo alla bellezza: Non ho parole con cui risponderti, ti riconosco come i demonii sono i primi a riconoscere il Cristo, ma ti riconosco sputando a terra.
È una cosa che abbiamo fatto e facciamo per un motivo molto semplice: la bellezza questiona, a volte non riusciamo a risponderle in maniera adeguata e allora proviamo a deturparla.
Oppure una scelta può essere: contrapporre alla bellezza totale la bellezza totale.
All’energia liberata rispondere con liberazione di energia.
A volte queste bellezze totali non si incontreranno, o faranno una danza dei panini, come quando a una gamba mutilata sinistra corrisponde una gamba mutilata sinistra. E se una persona è intelligente, accetta e ringrazia per ciò che ha visto, e va; è difficile ma va.
A volte queste bellezze totali, in scrittura come nella vita, restano complementari. È lì che diventano meravigliose le piccolezze del quotidiano, quelle che al resto del mondo paiono difetti e invece ci regalano lo scintillio persistente. 
Quando un arto fantasma destro, in una qualsiasi anticamera, incontra un arto fantasma sinistro; e mentre le persone sono lì che si guardano negli occhi, dicendo: Dio, davvero io, non son degno, davvero a me?; mentre lo dicono, i due arti sono lì che già camminano, passo dopo passo, prima l’uno, poi l’altro.
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