Lo strumento di scrittura più importante

Oggi sarò a Lodi, per un corso di lettura nelle scuole organizzato dal Penelope Story Lab.

Devo portare il Cirano de Bergerac, nella traduzione di Mario Giobbe – ne parlerò con alcuni ragazzi dai 15 ai 18 anni che si sono iscritti al corso, alcuni hanno chiesto di essere inseriti nel gruppo pur non avendone i requisiti, questo già è splendido.

Il treno arriva a Lodi alle 13.46. Fa parte di quei – pochi – regali che mi fanno le ferrovie dello stato, ultimamente.

Per dire. L’altro giorno, a Bergamo, ero al telefono con Eliana e un tizio stava minacciando di accoltellarne un altro che lo aveva guardato storto.

Gli ha detto: Andiamo dove non ci sono le telecamere, solo io e te, non mi fa mica paura, sono fuori sulla parola.

Eliana si è spaventata, temeva intervenissi.

Ecco: questo non è un regalo.

Ma gli orari leggermente sfasati lo sono. L’arrivo in studio a Bergamo in anticipo lo è, mi consente di prendere il computer e scrivere, rispondere alle mail, controllare gli appuntamenti, leggere qualcosa.

L’arrivo a Lodi di oggi lo è, mi consente di andare al bar, prendere un caffè e un bombardino, e mettermi a scrivere.

Da un po’ di tempo uso un taccuino. L’abbiamo fatto stampare noi, ha la cover rossa, il logo del Penelope in copertina. Non l’abbiamo mai realmente messo in vendita; forse dovremmo. È lo strumento più importante per uno scrittore, e vi spiego perché.

Consente di scrivere, e di piegare la copertina. Umberto Eco diceva, se non sbaglio, che il libro è l’oggetto di design perfetto. In realtà per me sono tre: il libro, la moka del signor Bialetti e la molletta per i panni.

Del libro parlo sempre, della moka parlerò, della molletta credo mai, ma ne parla già abbastanza il sud, a ogni finestra.

Il taccuino – assimilabile al libro – deve avere alcune caratteristiche. La prima: costare poco. Dobbiamo iniziare a disinvestire rispetto all’importanza dei pensieri. I nostri pensieri devono cominciare a essere pensieri popolani, da due spicci; sennò non scriviamo per paura d’inquinare la santità – confondendo ancora una volta santità e sacralità. Un terreno sacro non va attraversato; una fonte santa va bevuta.

La seconda: essere inseribile nella tasca dei jeans. Va proprio fatto il controllo; se ci sta, lì o nella borsetta, è ok. Ma la prova provata è la tasca dietro dei jeans.

La terza: essere sgualcibile. Il pensiero, l’ho già detto, deve anche valer poco. Sennò prendiamo i nostri operai interiori e diciamo loro che non li ascolteremo, perché son vili plebei; e pretendiamo anche che lavorino bene?

La quarta: esser macchiabile. Io ogni volta metto alla prima pagina il segno circolare della tazzina di caffè. Quello è un luogo di lavoro; non contiene filosofie inapplicabili, ma lettere d’amore, pensieri, appunti, disegnini – tanti.

E infine, la più importante: essere usato. Un taccuino inutilizzato non vale niente. Deve avere il dono del tempo e dell’osservazione. Per questo, insegno, prendi il tuo taccuino e vai al bar. Chi te lo impedisce? 

E se qualcuno te lo impedisce, questa cosa non ti sta spiegando qualcosa sulla tua nozione di libertà^

Se siete curiosi, domani vi scrivo cosa ho messo nella prima pagina del mio taccuino – quello che indico all’interno di Un re non muore. Intanto sto scrivendo il saggio successivo, ci ho appena messo una frase perfetta, ovviamente non è mia, ringrazio Davide che me l’ha inviata tipo sette minuti fa.

Se ti interessa pensare a un percorso di scrittura personale, cerca gli articoli che hanno il tag Insegnante di scrittura, qui; o vai sul blog del Penelope Story Lab, ogni mercoledì pubblico una recensione-esercizio (oggi su Coffee & cigarettes di Jarmusch, la sto scrivendo; questa è quella dei primi minuti di Scusate il ritardo, di Massimo Troisi). 

In alternativa, mi puoi contattare per una consulenza gratuita su un percorso personalizzato di scrittura. I contatti sono qui, e qui il calendario degli incontri – ma prima di segnarti scrivimi.

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4 commenti su “Lo strumento di scrittura più importante”

  1. La misura a tasca di jeans è commovente, ma di più il segno della tazzina: quando scrivo, il pomeriggio, ne lascio ovunque. Da ora in poi sarà il simbolo del mio scrivere, come un’equazione.
    Ti ringrazio, Ivano, per il lavoro di estrazione che fai. È sempre uno spunto.

    1. È un piacere, Michi, credimi.
      Da ogni libro che scrivo cerco di carpire un segreto, un qualcosa che il libro cerca di dire solo a me.
      In Un re non muore era Non aver paura di sbagliare, ma se sbagli, stacci dentro, esplora, impara.
      In questo, La quotidianità è la tua regina.

  2. E io che cerco sempre un foglio a perdere per appoggiare la tazzina. Non lo farò mai più.
    Ho più di un taccuino, uno tanto bello che non lo uso e uno sgualcibile dove segno tutto compresa la lista della spesa (poi strappo la pagina).
    Grazie.

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