Nessuno tocchi Roald Dahl
A volte preferisco far finta di niente. Le polemiche sui social mi hanno interessato per troppo tempo, per poi scoprire che avevo preso posizione su argomenti dei quali non me ne fregava niente – i pitbull di Palermo, Striscia la notizia e Ambra, Buona domenica e le cagate di Iva Zanicchi, una qualche lamentela su un qualcosa riguardante qualcuno che non so chi sia, eccetera.
Soltanto che qui non si parla di Roald Dahl, quanto dei lettori. E io ai lettori ci tengo.
Ci tengo ai lettori perché sono stato formato come lettore. Ho avuto bibliotecarie che mi hanno suggerito libri, e libraie e librai che mi hanno suggerito libri. Ho vissuto il piacere di entrare in un locale, pubblico e privato, e poter pescare a caso; o, al contrario, a volte, saper esattamente dove andare.
Una cosa mi è chiara da tanto tempo: i libri di letteratura sono saggi, e hanno tutti una funzione educativa.
Non conosco un libro che non educhi; che, indicativamente, non crei una strategia che dica, in caso di macchina che finisce nel fango: Di là. Lo fa qualsiasi libro – dal Diario di un picchiatore fascista a Se questo è un uomo, da Amatissima a Furore, da Catullo
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
a Dante Alighieri.
L’educazione deriva dal processo organico della scrittura, non dalla parola. La parola in sé può anche sviare, eccome: se scriviamo Credere, obbedire, combattere, ci viene in mente non solo il motto fascista ma anche don Milani e il suo Disobbedire è una virtù.
Ho letto quello che hanno letto credo tutti: le opere di Roald Dahl, scrittore britannico, sono state epurate dall’editore Puffin Books – una branca, visibile anche dal marchio, del prestigioso editore Penguin Books – dei termini giudicati offensivi. La cosa è avvenuta in accordo con gli eredi; Si tratta, come ho scritto sopra, di uno scrittore britannico e di un editore britannico: non parliamo quindi di traduzione, che a volte può avvenire – adelante con juicio, come si dice -, ma di riscrittura.
Sono insorti scrittori e scrittrici autorevoli e altri no; tra quelli sì mi piace ricordare Salman Rushdie, che dice:
Roald Dahl was no angel but this is absurd censorship. Puffin Books and the Dahl estate should be ashamed. https://t.co/sdjMfBr7WW
— Salman Rushdie (@SalmanRushdie) February 18, 2023
Ma di che riscrittura si tratta?
Augustus Gloop, Charlie’s gluttonous antagonist in Charlie and the Chocolate Factory, which originally was published in 1964, is no longer “enormously fat,” just “enormous”. In the new edition of Witches, a supernatural female posing as an ordinary woman may be working as a “top scientist or running a business” instead of as a “cashier in a supermarket or typing letters for a businessman”.
Associated Press Tweet
Come ho detto sopra, l’educazione deriva dal processo organico della scrittura; e il processo organico della scrittura include la parola ma va al di là della parola.
La parola in un libro può essere offensiva? È un discorso oltremodo complesso. Prima di tutto, bisogna conoscere – cosa che ormai tutti dovrebbero conoscere – la differenza tra autore, narratore e personaggi. Se Ringo in Pulp Fiction parla in un linguaggio apertamente razzista:
Vietnamese, Koreans, they can't even speak English. You tell'em "Empty out the register", and they don't know what it fuckin' means.
Quentin Tarantino Tweet
, dicevo, se Ringo parla in un linguaggio apertamente razzista, questo non è Tarantino, né è ventriloquismo: psicologicamente è una proiezione, e una proiezione può non esser ciò che vogliamo dire – può essere addirittura il contrario di ciò che vogliamo dire.
Se non lo capisci, non puoi capire non solo il cinema di Tarantino – il finale di Pulp Fiction si basa su questo -, ma non puoi capire niente dell’arte, né della vita.
Può essere il personaggio un ventriloquo dell’autore? Certo che sì. Se vedo Süss l’ebreo, non pretendo che l’autore si sia astratto dalla scrittura. Però né io, né un bambino, sono indifeso rispetto alla narrazione: le narrazioni non sospendono il nostro giudizio morale, perché sennò guardando Cage strafarsi d’alcool esulteremmo, invece che piangere; le narrazioni ci tengono in un doppio in cui per metà siamo noi e manteniamo la nostra solidità morale, e per metà ci immergiamo empaticamente – non simpaticamente: empaticamente – nella narrazione stessa, la seguiamo, e prendiamo per buono momentaneamente lo status morale.
Si dice: Proteggere i bambini. Da cosa? Dalla parola, dall’esperienza, o dall’organicità?
E soprattutto: questa è una manovra per proteggere i bambini, o lo è per proteggere il nostro rapporto coi bambini – ossia: per proteggere la nostra sensazione di esser buoni nei confronti dei bambini?
Usare certe parole nell’800 e usarle oggi è diverso, e lo sappiamo. Si chiama ricchezza culturale, quella che ci serve per leggere Salammbô di Flaubert, le poesie di Rimbaud, tutto Sade, guardare Pasolini ma anche Fellini.
I bambini si proteggono spiegando, nel caso, accompagnando, segnando le differenze; e non immergendole in un magma di piattume linguistico, da cui non si possono riprendere se non difendendosi – ma stavolta da noi.
Aggiungo una noticina finale.
Il positivismo New Age, dagli anni ’80 in poi, ha fatto disastri. Ci ha fatto credere che tutto andasse bene quando non tutto andava bene – a volte, quando non andava bene davvero niente. I libri veri, compreso quel capolavoro che sono i racconti di Dahl, ci mostrano la vita com’è; non come la vorremmo dal nostro punto di vista tutelato, ovattato e stanco. E se invece che ripetere allo sfinimento che noi siamo ok, e invece che dire continuamente ai bambini che sono ok, iniziamo loro a mostrare che le loro parole vanno bene – li educhiamo alla parola, insegnando che non deve essere asettica ma pensata, cosa che un autore deve sapere: e che se pensato va bene anche grasso, stronzo, e via dicendo -, ecco, se iniziamo loro a mostrare che le loro parole vanno bene, e che scrivere un libro non è camminare in un campo minato ma a volte far esplodere le bombe, a volte far capire che le bombe già stanno esplodendo, ecco, la speranza possiamo tornare a chiamarla tale.
Fine.
3 commenti su “Nessuno tocchi Roald Dahl”
I bambini non si proteggono nascondendo, censurando, omettendo. I bambini, i ragazzi, si proteggono cercando di donar loro gli strumenti per capire e interpretare. Con gli strumenti potranno difendersi dalla stupidità e dall’ignoranza, senza quelli saranno destinati a fallire come persone. È molto più complicato, è vero, ma chi dice che essere genitori è un compito facile?
Esatto. Il punto è che qualcuno li deve difendere. Ma se li difendiamo troppo noi, non imparano a farlo loro.
Concordo pienamente, liberiamo le parole, e forse, troveremo il senso anche della parola “educare”.