La scrittura è un atto di osservazione
La scrittura, alla fine, è soprattutto un atto di osservazione.
Stamattina leggevo questo vecchio dialogo apparso su ArtTribune con Paola Pivi.
Mi ha fatto riflettere sul film visto ieri sera, Stand by me di Rob Reiner; e sul processo di scrittura.
Come sai, Stand by me non è soltanto un film sull’infanzia, ma anche sulla vocazione. Il dialogo tra Gordon e Chris ricorda da vicino il dialogo tra Will e Chuckie in Will Hunting: uno dei due, il meno facilitato dalla vita dei due, o il meno dotato, dice all’altro: Vai via da noi, fallo per noi.
Ossia: per noi la strada per la vocazione è tagliata fuori, a causa di elementi intrinseci a noi (Chuckie, semplicemente, non ha la testa per seguire Will) o esterni a noi (Chris dice a Gordon che lui resterà sempre un Chambers, segregato dalle possibilità a causa del suo cognome che arriva prima di lui).
Gordon diventerà uno scrittore; e starà a lui raccontare di tutto ciò che è successo, dei morti e dei vivi, del mondo che scompare e del mondo che resta, in qualche modo ma resta.
Mi è venuto da pensare allora a una scena che ho scritto stamattina. Mi son fatto il mio solito caffè, ho preso un dialogo incidentale del romanzo – talmente incidentale che non doveva esistere -, mi ci son messo al lavoro; e son venute due pagine.
Scrivere è stare, lo dico sempre; perché scrivere è osservare, non inventare. Semmai, l’invenzione ci può stare all’inizio, o in particolari snodi; ma l’invenzione è come un bicchiere di liquore, se ne bevi uno ti piace e magari ti dà quel piacevole stordimento, se ne bevi sette hai un problema. Per il resto, è solo osservazione. L’osservazione può essere coperta dallo stile, e in quelle pagine lo era: stavo coprendo con lo stile un dialogo che era migliore degli altri, più significativo.
Nell’intervista alla Pivi, due elementi mi sono rimasti in mente. Il secondo, è che lei le opere le crea veramente. E su questo sto riflettendo.
Il primo è che la scultura ti chiama il cambio di prospettiva. La fotografia e il quadro sono frontali, mentre la scultura ti chiede di girarle intorno: se vedi Apollo e Dafne del Bernini, non puoi accettarne la bidimensionalità: devi girare intorno, vedere gli spessori, devi necessariamente – per capire o per interiorizzare? – formare un nucleo di comprensione che nel girar fisicamente intorno si modifica, si nega, si accentua.
Visto che nella scrittura questo non è possibile, il compito del lettore deve essere compiuto dall’autore. È all’autore che è richiesta la fatica di girare intorno, modificare, accentuare. Nel film Stand by me, in un momento Chris confessa a Gordon la sua paura di perdizione, il suo terrore di aver perso prima di aver giocato; nella scena dopo, compare il cerbiatto. Non è mio compito analizzare qui quella giustapposizione; ma mi pare evidente come siano vicini il senso della perdita e quello della grazia.
Tutto questo non è possibile se non si sta nella scrittura, nella lenta osservazione; nell’opera.
Mi viene in mente un terzo film, ora, sul momento; su cui chiudo.
Si chiama I sogni segreti di Walter Mitty, me lo segnalò Raffaella anni fa, in Sardegna.
Walter e Sean stanno aspettando di vedere il leopardo delle nevi. Aspettano lì da tempo. Sean ha viaggiato, ha speso tempo e soldi, ha rischiato per poter vedere il leopardo delle nevi, che non si fa mai vedere; e non scatta.
Perché non scatta?
Perché lì sta la scrittura. Scrivere, non aver fretta di passare alla prossima scena, non invocare il vitello d’oro del senso, ma stare. Stare nell’osservazione, nel godimento, nel caffè che è ancora caldo, nel digitare il prossimo tasto e vedere che compare una effe al posto della elle; e darle spazio e credito. Poi qualcosa accadrà, qualcuno arriverà.
E tu sarai lì, testimone del miracolo.
4 commenti su “La scrittura è un atto di osservazione”
Sono al bar (!), bevo il caffè, ho il mare di fronte e la pioggia che cade, passerotti che passeggiano sotto ai tavoli in cerca di briciole e i turisti colorati che passeggiano sotto agli ombrelli in cerca del sole.
Stavo giusto prendendo due appunti di colore, diciamo così, quando mi sono imbattuta nel tuo articolo.
Ho visto i primi due film, il terzo no. E mi rendo conto che di will hunting non ricordo praticamente niente, mentre stand by me mi è più famigliare, anche per aver letto racconto e libro.
Insomma, ogni volta che pubblichi, sono costretta a fare qualche passo indietro per mettermi al passo giusto.
Buon Primo Maggio.
Sono tre film molto belli, tutti a modo loro.
Che poi l’altro giorno, parlando del film di Moretti, credo di esser stato frainteso. Per me “molto bello” significa tante cose.
Se ti fa fare collegamenti, per me un film già è bello.
Se è stagno, è brutto.
Leggerti infonde speranza. A volte stare fa paura, a volte non si comincia nemmeno.
Il coraggio, me l’hanno insegnato una settimana fa, a volte è solo fare ciò di cui abbiamo paura, e vedere cosa succede.