Come ho ricominciato.

Ho passato due anni senza leggere – parlo di circa quindici libri l’anno, contando anche qualche fumetto; significa non leggere.

E anni in cui non ho scritto una riga.

Le motivazioni, come sempre succede, sono personali, ma è un po’ come quando vai in palestra a lungo, e poi cominci a saltare i workout: vedi che il fisico magari si riposa, ti sembra anche di star meglio, ma una parte dentro di te sa.

Questo è il primo testo che scrissi dopo tutto quel tempo. Mi è venuto in mente leggendo ieri sera L’ultimo bastione del buon senso, di Danilo Kiš. E fa parte di una riflessione che sto facendo in questi giorni sul lavoro dello scrittore, e che si compone di – almeno – due parti.

La prima, lo scrittore si deve affacciare sul baratro. Per poterlo fare si deve non esattamente sbarazzare dell’ego, ma deve far sì che l’ego sia come un manichino, che serve per gli abiti ma sta zitto in un angolo.

La seconda, lo scrittore deve scrivere.

Alcune di queste riflessioni le condividerò nell’incontro di mercoledì, cliccando sulla foto si va alla pagina apposita.

Questo testo viene da un libro che è solo mio, si chiama Il taccuino nero.

Una persona che entri in prigione dopo circa un giorno ha ridotto il suo visus, la sua statura. Cammina ingobbita, anche se è convinta di essere dritta; indipendentemente dalla convinzione di essere innocente o colpevole.
Me l’immagino poi girare per il cortile nella sua ora d’aria; comporre venti giri di tre minuti ciascuno, contando i passi per ogni giro e quelli totali quotidiani; tenendo intanto il computo dei respiri. Una lancetta che confonda i minuti ma segni precise le ore. Un passo al secondo – ma non sarà mai un secondo: sarà sempre qualche istante prima, o qualche dopo –, ogni giro sarà di centottanta passi per poco più di centotrenta metri; i venti giri saranno di poco più di due chilometri e sei.
[Mio Dio, dimmi quanti respiri ho fatto finora e quanti respiri mi sono rimasti da respirare. Conta le lancette, i loro passi cadenzati. Assegnameli in un compito non scritto; suggeriscimeli in qualche lingua parallela. In quale lingua ti devo chiamare? In quella del Faust? Mein Gott… In quella del Chisciotte? Dios mío; bien como quien se engendró en una cárcel ; las tinieblas cubrían el abismo, y el soplo de Dios se cernía sobre las aguas . Nella lingua delle mosche, che compongono sure nei loro spostamenti su cadaveri? In quella del Creato, in cui ogni essere vivente è una sillaba; in quella dei segni? Ti devo chiamare in lingue sconosciute, emozionate come le parole di Borges su Giuda
Ma chi si rassegnerebbe a cercar prove di cosa che già non creda, e di cui non gl’importi?
, o in quella dei colori che non ho visto, impossibili alle mie diottrie o alla mia esperienza o alle capacità di credenza del mio cervello; o in quella delle emozioni che non ho praticato; o in quella delle preghiere che mi sono morso la lingua pur di non dire? Una volta ho letto che Dio saprebbe in quale lingua parlarci, quale che sia la lingua; oggi ho scoperto che il pesce che decuplica nella parabola di pani e pesci era probabilmente la tilapia, di cui non avevo mai sentito parlare… Ma in quale cella si è affrettato a scappare il Cristo, e cosa gli ha proposto all’orecchio Salomè al posto della Croce? Dio, Mein Gott, Dios mío; e se lui avesse la capacità di parlare e non noi di capire? Come si può ricongiungere tutto a tutto? Questo è lo scopo, tutto a tutto, Robert Crumb ai Beatles, il soul a Dante, gli ZZ Top e quella cassetta che ci regalarono ai TLC, lo Spirito Santo alle donne nude con un pelo pubico così folto, i film di Sokurov, le tendine del furgone con cui scavallavamo gli Appennini… Dio, ti sento? Perché non so quanti respiri ho fatto? Perché non so quanto dura un respiro, o un beat? Dio, Mein Gott, Dios mío…].

Facebook
Twitter
LinkedIn
Telegram
WhatsApp
Email

1 commento su “Come ho ricominciato”

  1. Curioso. Mi ha ricordato un concetto in mezzo al quale sono già passata di recente.
    Mi piace l’idea della persona che esca dalla prigionia modificata nella statura: non riesco a trovare un cambiamento di connotati più centrato.
    Come sempre quando ti leggo, anche se non commento ogni volta, si aprono le concatenazioni. Più precisamente a questo giro è toccato a un vecchio brano dei Genesis “Get’Em Out By Friday” tratto dal Long Playing “Foxtrot” del 1972. Meraviglioso, tutto il 33.
    Grazie.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

FORSE TI POSSONO INTERESSARE:

Torna in alto