Non mi ricordo più
Alcuni amici e amiche hanno perso il padre, in questo 2023; e quindi approfitto di questa mezz’ora prima della lezione per raccontarvi una storia.
È da alcuni mesi che giro guardando a terra cercando monetine.
La prima volta che mi è successo, era nel 2000. Stavo con Simona, passammo due giorni nella casa di via Schiavonia a far l’amore, ascoltare i Radiohead in loop, mangiare mandarini per placare sete e fame; Pier era stato esiliato in cucina, e per dispetto dormiva sotto il tavolo, in un sacco a pelo. Pier caro.
“Studia astronomia?”, mi disse più volte. Studiava astronomia, in effetti – non astrologia, come molti per scherzo o ignoranza dicevano; odiava la fisica, e questo fu un problema, effettivamente, alla fine. Era la caratteristica principale di Pier, poi: altissimo, aveva la testa nelle stelle ma non sapeva bene come arrivarci.
Quando Simona ripartì, in treno, osservai la gente che aveva accompagnato i propri cari in stazione, mi misi a pensare cosa rimane di un amore quando il treno è partito; tornai, presi a cercar monetine a terra per prendermi il giornale; trovai cento lire all’inizio di via Indipendenza, ero felice.
Poi mi misi insieme a Anna, che mi disse: Smettila di cercare monetine a terra, è da barboni.
La smisi.
Quest’inverno ero triste: le parole del libro non mi venivano. Il mio editor mi cercava, gli dicevo: Ci sono, ci sono; ma non c’ero. Mi sentivo un porcellino troppo scosso, il rumore delle monete lo senti, ma non scendono. Ero stato a Los Angeles, ero stato a Brescia, e durante una residenza mi avevano detto una cosa importante; il telefono non prendeva, e io mi sentivo un po’ come il mio telefono.
E allora, una sera che stavo tornando da un torneo di scacchi, e avevo perso, e pioveva forte, dissi: Papà, fammi sentire che ci sei, la tua presenza, ho bisogno di un segno, ma un segno che io colga: fammi trovare una monetina.
Andai nel laboratorio di brioches, comprai quattro brioches – due per i ragazzi, cioccolato e crema, una per Eliana, cioccolato, una perché se la dividessero la sera prima di dormire, cioccolato ancora -, mi guardai intorno: zero. Pioveva, ma non c’era niente che scintillasse, se non la strada.
Era dicembre.
Da allora, mi son fatto forza da solo, e con la Eli. Mi sono fatto i caffè, la mattina alle sei, mi sono messo davanti al cursore lampeggiante, e, prima piano e poi con maggior sicurezza, ho scritto.
L’altro giorno, durante la presentazione, Matteo mi ha chiesto: Ma dove le trovi tutte quelle connessioni?
E io ho pensato al gioco delle citazioni che facevamo in casa, papà che diceva: Cuncè, fa freddo?, e noi: Hai voglia, si gela.
E ho pensato che non fosse niente cultura, ma tutto amore; o che forse, credo sia la risposta che ho dato, la cultura non è nient’altro che amore.
Cuncè, fa freddo?
La presentazione è finita, abbiam mangiato, siam tornati a casa col 15; i ragazzi stavano già dormendo.
Ieri mi son messo a pensare al papà di un amico, morto quest’anno; sono sceso giù al bar, ho preso un caffè sperando di trovare una Gazzetta dello Sport.
La Gazzetta non c’era.
Ma c’erano dieci centesimi, per terra, scintillanti.
E ho pensato che non ci abbandonano mai.
I’ nun m’arricordo cchiù
Si stevemo bbuono
Cu ll’addore d’o ccafè pe tutt’a casa
‘O ssaje ancora nun m’è passato
E so’ parole o è fantasia
Oppure chesta è ‘a vita mia
(Pino Daniele, Gesù Gesù)