[IT, ENG] La conservazione metodica del dolore: incipit

Above is the Italian version, below is the English version.

Bravo Piaggio

Dodici anni fa, un mese fa, è uscito il mio primo romanzo: La conservazione metodica del dolore
Inizialmente concepito come raccolta di racconti, venne da me rielaborato per portarlo a un altro stadio.
Da due anni i diritti sono tornati a me; da tempo penso che mi piacerebbe ripubblicarlo, rivisitato.

Questa è la versione originale; sotto, la sua traduzione in inglese.

///

Twelve years ago, a month ago, my first novel, “La conservazione metodica del dolore” (The Methodical Preservation of Pain), was published.
Originally conceived as a collection of short stories, it was reworked by me to take it to another stage; in fact, the small frame I conceived to hold the stories together became the core of the novel proper.
In the last two years, the rights have come back to me; I have been thinking for some time that I would like to republish it, reworked.

This is the original version; below is the English translation.
It was never published abroad.


Versione italiana: incipit.

Io sono epilettico. Eàeàeàeàeà è il mio urlo di battaglia. L’ho urlato tanto forte da spaccarmici la testa, una cicatrice sopra l’occhio sinistro; la bocca prima spalancata, poi serrata a mordere la lingua finché non diventava viola e nera. Sono epilettico e sono un fotografo. E come fotografo sono stato chiamato al mondo, da quando scaldavo all’accendino la chiave del Ciao perché entrasse in una serratura congelata, e nel camminare mi spostavo sul marciapiede per cercare una prospettiva più tagliata dei balconi o delle auto, o semplicemente una parte assolata per sfuggire al freddo dell’inverno; e come epilettico sono a non poter garantire di scrivere nemmeno questo foglio, o rileggerlo, senza avere una crisi. Ogni foto, un’immagine partorita dalla mia camera oscura.

Spero vivamente che queste pagine non le legga nessuno, e non so nemmeno perché o per chi le stia scrivendo – per me, per Mario? Per Angela, forse? Per Rachele?

Forse le scrivo solo per ricordare; per dare un senso a quei dieci anni di vita che avevo cancellato e ora premono.

Spero di non tramandare, scrivendo, il dolore che mi porto dentro. C’è un coltello, in cucina, nel quarto cassetto da sinistra; quel coltello me lo porto in ogni trasloco; c’è stato un giorno in cui ho detto Dovessi avere un’altra crisi me lo pianterò in corpo. Ma un coltello è come la famiglia dalla quale vieni, e può essere usato nel bene o nel male; da quella volta, grazie al cielo, ha solo tagliato verdura.

 Quando ho un attacco epilettico non riesco a fotografare per una settimana; non ho la forza nemmeno per alzare una reflex, un flash. Mi trema la mano e mi dolgono i muscoli del collo, delle spalle, quelli delle cosce; ho male persino a muscoli che non sapevo di avere.

Mario sa. Una volta, in studio, eravamo soli, ha anche assistito a una crisi. Gli altri no: per gli altri che lavorano con me, da Elena a Roberta a chi capita, le mie settimane di eclissi erano dovute a emicrania. O chissà, avranno pensato fossi depresso: sono una persona difficile.


 

English version: opening lines.

I am epileptic. Eàeàeàeàeà is my battle cry. I screamed it so loudly that I split my head open with it—a scar now rests above my left eye. My mouth, first wide open, then clenched tight, biting my tongue until it turned purple and black. I am epileptic, and I am a photographer. And as a photographer, I was called to this world—from the days I used to heat the key of my moped with a lighter to fit it into a frozen lock, shifting my path along the sidewalk to find sharper angles of balconies or cars, or simply stepping into patches of sunlight to escape the biting winter cold. And as an epileptic, I find myself unable to even promise that I’ll finish writing this page—or read it back—without having a seizure. Every photo, an image birthed from my darkroom.

I sincerely hope no one will ever read these pages. I don’t even know why, or for whom, I’m writing them—for myself? For Mario? For Angela, maybe? Or Rachele?

Perhaps I’m writing them simply to remember; to give meaning to those ten years of my life I had erased and that now press down on me.

I hope I’m not passing on, through these words, the pain I carry inside. There’s a knife, in the kitchen, in the fourth drawer from the left. That knife has followed me through every move. There was a day I thought, If I have another seizure, I’ll drive it into myself. But a knife is like the family you come from—it can be used for good or for harm. Since that day, thank God, it’s only sliced vegetables.

When I have a seizure, I can’t photograph for a week. I don’t even have the strength to lift a camera, let alone a flash. My hands tremble, and my neck, shoulders, and thighs ache. I feel pain in muscles I didn’t even know I had.

Mario knows. Once, in the studio, when we were alone, he witnessed a seizure. The others don’t know: to them—Elena, Roberta, whoever happens to work with me—my weeks of eclipse were attributed to migraines. Or who knows, maybe they thought I was depressed: I’m not an easy person.

*The Ciao in the italian version is a moped manufactured by Piaggio.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Telegram
WhatsApp
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

FORSE TI POSSONO INTERESSARE:

Torna in alto