Costruire la propria biblioteca personale.

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Il 26 ottobre, durante la festa di Tracce, abbiamo tenuto un incontro dedicato a un aspetto fondamentale per chiunque voglia intraprendere la strada della scrittura: la costruzione di una biblioteca personale. Parlare di libri, almeno per me, è sempre un momento di piacere – sono sempre stato affamato dei momenti in cui mi dicevano Cerca qui; e ho sempre odiato quando mi davano mappe che conducevano a territori per me vuoti; ma qui c’era qualcosa di più. L’obiettivo era far riflettere su come una biblioteca non sia solo una collezione di pagine da leggere, per cui può contenere sostanzialmente qualsiasi titolo, ma un terreno di confronto e orientamento continuo per ogni autore e autrice.

Nel corso dell’incontro abbiamo parlato di come i libri che scegliamo di avere accanto possano diventare guide silenziose o tonanti per i nostri percorsi narrativi. È una scelta che non deve essere fatta alla leggera, perché ogni testo scelto parla di ciò che desideriamo esplorare, del modo in cui vogliamo plasmare la nostra visione. È su questo aspetto che si concentrerà Amleto de Silva in una lezione del corso Le vie della narrazione. Insegnare a scrivere significa anche mostrare come scegliere i propri maestri letterari, come ascoltarli, imparare da loro.

E non ha a che fare con la loro grandezza. Io ho scelto da tempo, per esempio, che Brautigan sia più per me di quanto non possa essere Orwell; che Calvino mi dà poco, se non nel suo primo romanzo e in qualche saggio – non le Lezioni americane; gli articoli di Pasolini tantissimo.

Durante la preparazione dell’incontro, ero incerto su quali testi portare come esempi di questa biblioteca ideale. Tra le mani avevo Viaggio in Armenia di Osip Mandelstam, un libro che colpisce per la fervida attenzione dell’autore verso ogni dettaglio del paesaggio e della cultura armena. Ogni pagina diventa uno sguardo appassionato, quasi febbrile, capace di trasmettere la tensione con cui Mandelstam cerca di afferrare l’essenza di ciò che vede. Per esempio, quando parla di scacchi, scrive così:
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Chi non conosce l’invidia per i giocatori di scacchi? Nella stanza della partita si avverte un particolare campo di forze estranianti che soffiano un freddo spiffero di ostilità su chi non partecipa al gioco. Eppure quei cavallini persiani di avorio sono immersi in una soluzione di forze. A loro capita la stessa cosa che succede al nasturzio del biologo moscovita E.S. Smirnov, al campo embrionale del professor Gurvič. Nel corso della partita, durante tutto il fenomeno temporalesco del torneo, la minaccia dello spostamento incombe su ogni pezzo. La scacchiera si gonfia per l’attenzione che su lei si concentra. 

(tr.it. di Serena Vitale)

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Poi c’era Enciclopedia dei morti di Danilo Kiš, un libro commovente che riesce a rendere la presenza stessa dell’autore una sorta di ombra viva sulla pagina. La sua scrittura non si limita a narrare storie: è un testamento di empatia, uno spazio in cui i personaggi sembrano sussurrare i loro ricordi, le loro ferite e le loro speranze.

Alla fine, però, la mia scelta è caduta su Amore di Yasushi Inoue. Inoue ci regala tre racconti che, a prima vista, parlano di amore; ma non è l’amore romantico e luminoso cui molti autori e autrici si ispirano – e tra essi, spesso io. Al contrario, si tratta di un amore che nasce e cresce in condizioni misere: dalla tristezza morale, dalla grettezza, dal desiderio di non vivere. Non è il fiore dall’asfalto, che sarebbe ancora facile: l’amore è l’asfalto. Sono racconti che ci portano in un terreno emotivo oscuro, in cui i protagonisti si trovano a fare i conti con la propria fragilità, con il lato meno nobile dell’essere umano.

Questo sbilanciamento morale è esattamente ciò che serve a chi scrive. La letteratura non è fatta per confermarci nelle nostre convinzioni; è fatta per scuoterci, per costringerci a esplorare ciò che di noi stessi non vorremmo vedere. Gli autori e le autrici hanno il compito di guardare dritto nelle ombre, di razzolare in ciò che temiamo. Solo così possono creare opere che non siano banali riflessi della realtà, ma specchi distorti e potenti che ci permettono di guardare oltre la superficie.

Costruire una biblioteca personale non è solo un piacere per chi ama i libri; è un atto di ricerca, una dichiarazione di intenti. Per chi scrive, è fondamentale scegliere libri che sfidino le proprie certezze, testi che costringano a confrontarsi con il lato meno comodo della vita.

E così Amore di Inoue, con il suo sguardo spietato e insieme compassionevole su relazioni spezzate e anime in bilico, è diventato il simbolo di ciò che una biblioteca personale può rappresentare: uno spazio di confronto con il mondo e con se stessi, uno spazio in cui l’autore o l’autrice trovano il coraggio di affrontare e trasformare le proprie paure in storie. 

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